di Edoardo Florio*
Sembra una ferita sui Monti Sibillini la faglia che in seguito al terremoto iniziato nel 2016 è apparsa distintamente sul Vettore. Salire in vetta e osservare da vicino la montagna spezzata, naturalmente affiancati da escursionisti esperti, è un’esperienza che arriva dritto al cuore.
Lo sciame sismico, che ha scosso le Marche dall’agosto del 2016, è causato, come ormai sappiamo, da un perpetuo ed ininterrotto movimento delle placche tettoniche dei Sibillini che spostandosi, sfregando e urtando fra di loro generano onde sismiche. Il risultato di questi movimenti, oltre alla distruzione di intere città e paesi, è la visibile formazione di faglie. Quante volte abbiamo sentito parlare di queste faglie, ma cosa sono? Come sono fatte? Dove si vedono e quali sono state generate dai sismi di questi ultimi due anni?
Con il termine faglia si intende il punto in cui si incontrano le varie placche tettoniche punto che coincide con un avvallamento o una frattura molto marcata ricca di rocce sgretolate: una delle più grandi e sicuramente la più conosciuta è quella di Sant Andreas, in California, che può generare terremoti di magnitudo molto elevate. Sui monti Sibillini, successivamente alla forte scossa del 31 ottobre 2016, le faglie, che precedentemente erano appena visibili e caratterizzate da piccole crepe e fessure, sono diventate un’unica grande frattura lunga quasi 25 chilometri che percorre e spacca in due tutto il versante occidentale del monte Vettore e Il Redentore. Grazie alla riapertura della strada per i Piani di Castelluccio, con un po’ di buona volontà, dopo una ventina di minuti lasciando la macchina a Forca di Presta e avviandosi per il sentiero che porta sulla cima del Vettore, si può assistere al diramarsi, per tutta la superficie del sentiero, di fessure e crepe, sintomo della faglia sottostante.
Di più impatto visivo è la grandissima frattura sul versante orientale del Vettore, più facile da raggiungere rispetto a quella situata sul versante ovest, dove si vede nettamente l’abbassamento di una delle due placche: tale movimento ha provocato l’emersione di una lastra, alta all’incirca mezzo metro, di roccia vergine (una roccia si definisce vergine quando è la prima volta che esce in superficie). Queste faglie sono purtroppo testimoni dell’immane potenza della terra. Consiglio, anche a chi non sia appassionato di montagna, di passare almeno una giornata nelle zone distrutte dal sisma per vedere con i propri occhi cosa una mancata prevenzione può provocare e che clima di tensione aleggi nella zona, anche se sono passati già due anni dalle prime scosse. Visitare queste ferite dei Sibillini è sicuramente un modo per risollevare i tanti paesi colpiti e magari per conoscere meglio il “mostro” che si cela all’interno delle nostre montagne.
*Edoardo Florio, articolo realizzato nell’ambito del progetto Alternanza Scuola Lavoro