di Carlo Torregrossa
Andrea Petinari, fotografo e videomaker di Macerata, ha realizzato il suo primo libro “Stare bene, un giorno”, un testo nel quale vengono raccontate otto storie di vita comune, di persone ordinarie, che però hanno un risvolto inaspettato, a rappresentare che ognuno di noi ha qualcosa da raccontare. Nell’intervista emerge tutta la sensibilità di Petinari per questi temi, evidenziando una capacità di riuscire a vedere oltre l’aspetto fisico.

Petinari, fotografo e videomaker, dal 2019 porta avanti il suo progetto su Instagram di incontrare i passanti e chiedergli la loro storia. «Potrebbero essere i nostri vicini di casa che magari hanno vissuto una vita più adrenalinica della nostra e noi li sottovalutiamo perché vediamo queste persone così, senza interagirci. La vita di ognuno conta, è importante a prescindere da quello che può aver vissuto. Ogni vita merita di essere raccontata».
Non serve essere straordinari o famosi per avere qualcosa da raccontare. Tutti noi abbiamo una storia, chiunque ha qualcosa da dire. Questo è quello che ha voluto mettere in luce Andrea Petinari nel suo primo libro “Stare bene, un giorno. Piccole storie di vita vere” in uscita oggi, edito da Mondadori.
«Si chiama Stare bene un giorno perché le persone che ho intervistato, magari hanno dei rimpianti, ma sono serene all’età che hanno raggiunto – continua Petinari – E in fondo la loro vita non è finita, possono ancora permettersi di avere dei sogni ed essere ambiziosi. Decidendo chi essere, come stare e soprattutto quando esserlo».
Ognuna delle otto storie, presenti all’interno del libro, rappresenta uno spunto di riflessione, e un invito a non mollare. Questo emerge già dalla copertina del libro, realizzata da Chiara Brambilla: «La copertina è bella di impatto. C’è qualcosa che fa pensare, fa riflettere – sottolinea l’autore – E’ sia malinconica che speranzosa allo stesso tempo».

Come è nato il progetto di questo libro?
«Da qualche anno faccio foto e relative interviste a persone conosciute per strada, facendomi raccontare la loro vita. Il libro è un proseguimento di questo progetto.
Sono stato contattato, ho colto questa opportunità, partendo da un’idea fotografica che avevo in mente: la persona anziana che teneva in mano la loro foto da giovani, come a simboleggiare che tenessero in mano la loro vita.
Dopo di che tramite una chiacchierata a casa loro mi sono fatto raccontare chi erano in quelle foto. Mi piaceva l’idea di passato e presente nella stessa immagine, trovo che sia molto evocativa
Ho raccolto poi le loro testimonianze, mi sono fatto raccontare da queste persone anziane chi erano, chi sono e che cosa vorrebbero essere perché non è ancora finita. C’è sempre spazio per sognare, imparare qualcosa e essere ambiziosi nonostante una persona abbia più di 90 anni».
Qual è il processo che ha portato alla realizzazione di questo libro?
«Tramite i miei social ho fatto un annuncio per cercare persone che volessero raccontarsi. Quindi mi hanno risposto magari i nipoti dicendomi “guarda c’è mio nonno che sarebbe interessato”. Ho incontrato queste persone, sono andato a casa loro, ho fatto una fotografia di loro che tengono in mano la loro foto, mi sono fatto raccontare chi erano, tutta la loro vita, ho raccolto queste testimonianze e le ho messe nel libro.
Da ogni racconto, ho tratto poi una lezione sia mentre facevo l’intervista che nella fase di scrittura. Sentivo che stavo imparando qualcosa dalla vita di ogni persona che ho intervistato, quindi ci ho fatto un capitolo a parte come se fosse una lezione di queste persone. Mettendo in evidenza, cosa ne ho appreso, ho fatto dei parallelismi con la mia vita, per capire se abbiamo vissuto momenti simili, e per capire cosa vorrò essere tramite i loro insegnamenti involontari».
Che cosa ha capito?
«Ho capito che nonostante l’età rimaniamo sempre giovani dentro. Ho capito che queste persone anziane hanno ancora la mia età. Hanno ancora quella scintilla dentro, ho capito che praticamente ad invecchiare è il corpo, ma dentro rimaniamo tutti dei ragazzi, dei giovani. Questa è la cosa più bella che ho appreso».
Cosa emerge leggendo il suo libro?
«Emerge la semplicità della vita delle persone. Non sono andato alla ricerca di storie sensazionali, ma reali e vere. Tanto che nella semplicità di queste vite di queste persone anziane che ho intervistato, si può ritrovare un emozione che magari non c’è nelle vite spettacolari. E’ tutto basato sul genuino, sul puro, sull’umano.
Emerge il messaggio che la vita di ognuno conta, è importante a prescindere da quello che può aver vissuto, sia che abbia fatto qualcosa di straordinario, sia che abbia fatto qualcosa di ordinario, ma comunque straordinario nel suo piccolo. Ogni vita merita di essere raccontata. Ho voluto regalare l’opportunità a queste persone di essere pubblicate al pari di persone più famose, più note, perché secondo me meritano tutte le vite».
Quindi, ogni storia all’interno del libro le ha lasciato qualcosa?
«Secondo me rappresentano una lezione per chiunque. Anche se il libro non ha la pretesa di insegnare niente. Anche le persone che ho intervistato non volevano insegnarmi nulla, ma io ascoltandoli ho appreso qualcosa».
Si è divertito realizzando il libro?
«E’ stata dura, non è stato semplice ma molto impegnativo. Raccogliere il materiale, fare le domande, cercare di carpire le cose più belle della vita di una persona, cercare di far parlare queste persone, perché magari molte di loro erano timide.
A livello di interazione dovevo fare in modo che queste persone si fidassero di me, io alla fine ero uno sconosciuto per loro, eppure mi hanno aperto la porta di casa, mi hanno fatto entrare. Questo per me ha un grande valore perché si sono fidate completamente.
Spero di aver fatto passare una bella giornata a loro.
Io nel complesso mi sono divertito, mi è piaciuto farlo, spero sia stato bello anche per loro.
Però, sicuramente non è stata semplice, anche soltanto mettere insieme i pezzi. Anche perché alcune persone aprivano un argomento, poi passavano ad un altro, ritornavano sull’argomento precedente, dopo a casa in fase di scrittura dovevo ricollegare bene tutto, è stata dura però appagante».
Ci sono stati momenti in cui si è detto “Mollo tutto”?
«No, mai, anche perché io questa cosa di intervistare le persone la facevo comunque all’interno della mia pagina instagram . Mollare sarebbe stato impossibile.
Ci sono state delle scadenze che mi hanno messo alle strette, anche se sono state molto flessibili. Anche l’editore mi ha dato una mano, è stato molto disponibile.
Mollare no, perché è stata una grande occasione che sono stato molto felice di aver realizzato».
Come ci si sente dopo aver scritto un libro?
«C’è un po’ di adrenalina nell’attesa di vedere quale sarà la reazione magari per le prime recensioni. Io ho realizzato questo libro perché mi piaceva come idea, come progetto, si deve piacere al pubblico, sono contento se piace. Magari a livello editoriale può essere visto come una scelta non giusta, perché magari funzionano più le storie di persone famose che hanno fatto cose incredibili. Ma nel piccolo di queste persone anche loro hanno fatto cose incredibili. Infatti ci sono parecchie sorprese, dei colpi di scena che non ci si aspetterebbe, da persone che ci vivono di fianco. Puesto emerge anche dal progetto instagram, vedi una persona, ci vai a parlare e scopri che ha fatto delle cose clamorose nella vita. Oppure che è stata una persona semplice, ma te lo racconta con un’intensità che ti commuove».
Oltre alla fotografia, ha anche altre passioni?
«Mi piace il cinema, soprattutto il video. Mi piacerebbe molto poter documentare anche a livello video. Realizzare dei documentari da mandare ai festival, per raccontare territori, tematiche sociali. Nella mia pagina Instagram, quelle interviste sono in qualche modo dei piccoli documentari, se le sommo tutte insieme.
L’estate scorsa ho fatto delle interviste nelle varie zone terremotate delle Marche, per farmi raccontare come è evoluta la situazione e come si vive in queste zone. Mi piace documentare quello che vivo, che accade e che vedo.
Guardo anche documentari, mi piace vedere lo stile di come fanno certi documentari.
Vorrei avere più tempo per fare un documentario più corposo. Questo che faccio adesso è improvvisato per strada, mi piacerebbe fare qualcosa di più studiato».
A che età ha cominciato ad approcciarmi alla fotografia a che età ha comprato la tua prima fotocamera?
«Tredici anni fa comprai la mia prima fotocamera, con il mio primo stipendio. Avevo preso una Nikon. Le ho passata un po’ tutte, Canon, Sony; fiuji, a me piace molto lo strumento.
Cosa consiglierebbe ad una ragazza o ad un ragazzo più giovane di lei che ha una passione?
«Il successo ti appaga del lavoro che hai fatto, perché vuol dire che più gente ha apprezzato quello che hai fatto. E’ una conseguenza non obbligatoria, ma che magari ti spinge a puntarci tutto.
Quello che consiglio io è la costanza, la costanza ti porta ad un punto di arrivo che poi sarà un punto d’inizio.
Bisogna anche puntare sul prodotto di qualità, ma ciò che premia maggiormente è la costanza, senza si fa più fatica a lavorare a quello che ti piace».
Se avesse la possibilità di incontrare il Sè del passato, che cosa gli direbbe?
«Continua a farti piacere tutto quello che ti sta piacendo perché bene o male alla fine te la sei sempre cavata e sei sempre riuscito a fare quello che ti andava di fare.
Mi è capitato spesso di sognare di voler fotografare un determinato evento, andare in un determinato posto e alla fine c’è l’ho sempre fatta, ci sono sempre riuscito pur non essendo nessuno. Perché se uno vuole le cose, ci riesce».
Qual era un evento che sognava?
«Andare alla Mostra del Cinema di Venezia, andare lì come fotografo. Sembrava impossibile
ritrovarmi in determinate situazioni, riuscire a fare il fotografo di scena all’interno di un film. Mi piaceva l’idea di poter fotografare un determinato personaggio che stimavo, adoro Quentin Tarantino, sono riuscito ad arrivare al punto di poterlo fotografare e di averelo davanti. Ho fotografato Papa Francesco è tutta una serie di situazioni che a livello fotografico mi hanno appagato molto, e quindi dico al me del passato guarda continua a farti piacere queste cose perché bene o male c’è l’hai fatta a farle».
E’ felice?
«Secondo me, nella vita si dovrebbe ambire ad essere sereni, la felicità c’è l’hai ogni tanto quando ti capita qualcosa. La serenità è più costante».