
di Carlo Torregrossa
«La mia famiglia mi ha addestrata come un cane a rubare. A scuola non sono potuta andare». Queste le parole di Mary, una delle detenute della Casa Circondariale di Trani, che insieme ad altre 7 compagne ha raccontato la propria storia di vita, per dimostrare che anche dietro ad una detenuta, c’é una persona, con la sua individualità e le sue fragilità. «Quando mi hanno arresta io stavo aspettando il giardiniere, mi sono ritrovata i Carabinieri che erano venuti a prendermi. Ho lasciato sola mia figlia, perché io sono divorziata» racconta invece Pina, anche lei detenuta a Trani.

“Autrici” è il nome del progetto curato da Anna De Gregorio e Damiano Francesco Nirchio che è stato presentato questa mattina nella sala Sbriccoli della Biblioteca didattica d’Ateneo di Macerata.
Le protagoniste sono state otto detenute del carcere femminili di Trani che hanno raccontato la propria storia attraverso l’espediente narrativo della fiaba.
Da questi incontri è nato un libro, intitolato “Autrici! Otto storie per tutti tranne una” che è anche possibile scaricare in formato e-book all’interno del sito della casa editrice La Meridiana Edizioni.
Le fiabe presenti nel libro sono anche ascoltabili direttamente dalle voci delle loro autrici inquadrando il Qr code presente tra le pagine.

All’incontro, moderato dalla professoressa dell’Università di Macerata Lina Caraceni, hanno partecipato anche gli studenti della classe 5B del liceo scientifico Galilei di Macerata accompagnati dalle professoresse Stefano Della Ceca e Francesca Violoni.
La chiave di lettura del progetto si basa sulla giustizia riparativa: «Quel tipo di giustizia alternativa, che vuole creare un punto di incontro tra chi si è reso responsabile del danno e chi questo danno lo ha subito – ha spiega Ilaria De Vanna, psicologa e giudice onorario al tribunale dei minori di Bari – Bisogna capire qual è la cosa che ci aiuta a riparare il danno, risposta che non è sempre la stessa standard per tutti ma cambia a seconda della situazione».

«La fiaba rappresenta lo specchio della realtà, per raccontare la propria storie di vita» ha affermato Damiano Francesco Nirchio. «La fiaba inoltre – ha aggiunto Anna De Gregorio – permette alle persone di identificarsi molto con il personaggio, e con la sua storia, nella quale ritrovo anche qualche pezzettino della mia storia».

«Il detenuto si può recuperare – ha detto Mary, – Il fatto è che le carceri Italiane non lo consentono, perché tutti i detenuti stanno senza fare niente. Il carcere è una scuola di delinquenza. All’interno ci sono persone che cercano di prevaricare e per difenderti
diventi peggio di loro, peggio di come sei entrata. È giusto pagare, ma la legge italiana ci fa pagare assai».
«La cosa positiva del carcere – racconta Pina – e che si creano legami molto forti con le altre detenute. Si provano emozioni molto forti, che sono difficili da spiegare.
In carcere ti senti violata, – continua – non hai privacy, ma la violenza mentale è quella più difficile da spiegare. Forse all’interno del carcere non a tutti interessa cosa hai da dire, la tua storia, il tuo vissuto. Io non credevo di arrivare fino a questo punto. È stata una cosa bella».
Un’attività, che ha anche permesso alle detenute di poter esprimere i loro pensieri e le loro emozioni. «Detenute che oggi vivono l’umiliazione perché costrette a condividere luoghi e strutture, che normalmente non si dovrebbero condividere – ha sottolineato Lina Caraceni, docente di Unimc, esperta di giustizia riparativa – per una situazione, quella detentiva, che oggi vede i carcerati e le carcerate come spazzatura. Il carcere è diventato una discarica sociale dove nascondere tutto ciò che ci disturba fuori».
La rieducazione è possibile grazie a questi progetti, che assieme ad altre attività come lo studio, il lavoro e la formazione donano speranza agli ospiti delle case circondariali
«Il momento più bello – raccontano Pina e Mary – è stato l’affetto che ci hanno dimostrato in tanti una volta ritornate a casa. Forse abbiamo seminato bene».
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