
Ormai da diversi anni l’IIS Filelfo di Tolentino in collaborazione con Compagnia della Rancia e Cronache Maceratesi Junior porta avanti il progetto “Voci dal teatro”, volto alla sensibilizzazione del linguaggio teatrale da un lato e alla valorizzazione delle eccellenze dall’altro. In particolare una redazione scelta, composta da sei studentesse del liceo classico e scientifico, partecipa agli spettacoli della stagione del Teatro Vaccaj di Tolentino in posti riservati, e scrive una breve recensione, arricchita spesso da interviste agli attori. Il progetto vede coinvolti Alessia Reggio, Anita Parrini e Virginia Bagalini della 4A Scientifico, Emma Pucciarelli, Emma Migliorelli e Sofia Baldassini 3B classico sotto la guida e la supervisione delle docenti referenti del progetto, Cristina Lembo e Sandra Cola.
di Virginia Bagalini e Anita Parrini
Le Gratitudini, un adattamento dell’omonimo romanzo di Delphine De Vigan, è lo spettacolo andato in scena domenica 9 febbraio al teatro Vaccaj a Tolentino.
Il regista Paolo Triestino, dopo aver letto la storia, non ha potuto non tradurla in scrittura teatrale apportando piccole modifiche. La più rilevante è forse la sostituzione della direttrice della Rsa con una figura maschile dal duplice ruolo: direttore, ma anche ufficiale nazista negli incubi che perseguitano Michka, la protagonista.
Quest’ultima, ormai anziana e malata di afasia, ha ancora vivo dentro di sé il trauma legato alla perdita dei genitori deportati e mai più tornati a causa delle leggi razziali. Prima di essere affidata a una zia, era vissuta per qualche anno da due sconosciuti non ebrei che avevano accettato di proteggerla. Il rimpianto di non essere mai riuscita a ringraziarli l’aveva tenuta in gabbia per la vita intera, fino a quando, in virtù anche alla tenacia e all’impegno di chi le stava vicino, era riuscita finalmente a trovarli e dire loro “Grasse”, riacquistando la pace e la libertà.
«È uno spettacolo che tocca tutti i registri» dice l’attrice Carmen Di Marzo; ed è innegabile: lo spettacolo affronta una vasta gamma di temi significativi, come la malattia, la Shoah, l’anzianità e la gravidanza, temi che, pur trattando sfaccettature diverse della vita umana, si intrecciano tra loro in modo potente e significativo. Nonostante il racconto si sviluppi attraverso soli quattro personaggi, che non lasciano mai il palco, l’intensità e la complessità delle dinamiche interpersonali non smettono mai di affascinare: il cuore pulsante dell’intera narrazione è rappresentato da Michka, il perno attorno al quale si muovono e si sviluppano le storie di tutti gli altri, esaltando il suo ruolo centrale anche nelle situazioni più intense e nei momenti di maggiore introspezione.
La scenografia, animata solo da gabbie, risulta minimale, ma di una potenza inaudita.
«L’idea di una vita che pian piano si rinchiude: la gabbia ha un enorme valore simbolico, ognuno ci vede una cosa diversa, per me è questo»: con queste parole il regista ha chiarito il motivo di tale scelta, ma forse è proprio la soggettività con la quale viene vissuta la storia a renderla magica.
Tra incubi e ricordi, a lasciare un’impronta profonda che colora lo spettacolo lungo tutta la sua durata è la gratitudine.
Perché nonostante l’incedere del tempo, la perdita di memoria, gravidanze indesiderate e pazienti curiosi, nonostante lo sbiadirsi di tutto ciò che la mente acquisisce in una vita, i “Grazie”, quelli detti e quelli che si depositano nel cuore come rimpianti, rimangono brillanti e destinati a vivere per sempre.