Esplorando Tucci gli studenti e le studentesse del Convitto Leopardi hanno scoperto il tesoro del grande esploratore maceratese e lo raccontano in un articolo
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di Francesca Mercuri, Christian Guarnieri, Tobia Quondam, Zoe Perugini e Julia Khoja*
Il 2024 è stato l’anno dedicato a Giuseppe Tucci, un grande esploratore nato a Macerata, proprio come noi. Ma sapete una cosa? Molti maceratesi non lo conoscono. Noi alunni e alunne della scuola secondaria di I grado del Convitto Leopardi, grazie a una visita in città e a una lezione con la professoressa Cristiana Turini dell’Università di Macerata, lo abbiamo scoperto e ribattezzato “un curioso senza tempo”.
Tucci ha vissuto mille vite in una: è stato uno scienziato, un pellegrino, un archeologo, un esploratore, un linguista, un professore universitario, un antropologo, un pioniere e molto altro ancora. Ha salvato la memoria di tesori della cultura tibetana, che altrimenti sarebbero stati spazzati via dalla Rivoluzione Culturale Cinese negli anni successivi. Si è inerpicato sul Tetto del Mondo senza spirito di prevaricazione né ansia di realizzare carte, mosso unicamente dal desiderio di conoscenza, di comprensione e di scoperta culturale e umana. Ha esplorato territori dell’Asia all’epoca ancora inesplorati, scattando foto straordinarie, le prime arrivate in Europa dal Tibet. Si è mescolato con la gente del posto, vivendo con loro e visitando inaccessibili monasteri buddisti. Ma prima di tutto è stato un bambino e un adolescente curioso, che andava a caccia di reperti archeologici nelle campagne intorno a Macerata.
Per conoscere meglio questo incredibile personaggio, noi studenti delle classi 1C, 1D, 3B e 3C del Convitto siamo andati a visitare una mostra speciale in città, agli Antichi Forni e alla Sala Specola della Biblioteca Mozzi Borgetti, organizzata per i 130 anni dalla sua nascita (1894) e i 40 dalla morte (1984). I nostri insegnanti hanno reso tutto super divertente: ci hanno diviso in piccoli gruppi e dato delle “schede-gioco” con delle mission da completare, ognuna diversa dall’altra, ispirate a un metodo di lavoro cooperativo che si chiama Stad (Student Team Achievement Division). Dovevamo trovare reperti anche con l’aiuto delle guide Unimc presenti, cercare oggetti, fare foto con i tablet della scuola, interpretare informazioni e persino usare la bussola alla Specola! Ci siamo sentiti un po’ come Sherlock Holmes: detective storici alla ricerca delle parti di un tesoro, quello lasciato da Giuseppe Tucci, da ricostruire poi insieme in aula nei giorni successivi.
Una mission che ci è piaciuta tanto è stata scoprire come erano fatti i manoscritti tibetani: rotoli conservati in scatole di legno, su carta scura molto pregiata, ricavata da una pasta di fuliggine e cervello di yak, su cui si scriveva con inchiostri in oro o argento. Oppure usare la bussola per fotografare il paesaggio offerto dalla Specola, orientato verso i punti cardinali. È stato divertente esplorare e imparare giocando!
Ci ha colpito molto sapere che Tucci ha camminato per 18mila chilometri (viaggiava a piedi o a cavallo, senza mezzi a motore), spesso in condizioni difficilissime. Noi eravamo già stanchi dopo diciotto minuti di camminata verso la mostra. Lui però non si fermava mai, spinto dalla voglia di capire le culture orientali e salvare le loro opere d’arte. Ha conosciuto il Dalai Lama bambino, il Re del Nepal, numerosi Capi di Stato italiani ed esteri, e parlava quasi tutte le lingue orientali meglio di un nativo. Conosceva infatti anche le sfumature dialettali, cosa che impressionava i suoi allievi e collaboratori, come Fosco Maraini, padre della grande scrittrice Dacia Maraini, e Tienzing Norgay, un suo amico alpinista che lo accompagnò nelle esplorazioni del Nepal e dell’Himalaya, scalando poi per primo l’Everest con Hillary. In India incontrò Tagore e Gandhi, da cui trasse senz’altro ispirazione per la sua idea di convivenza pacifica tra i popoli. Secondo lui la comprensione di un’altra cultura non si impara a tavolino dai libri, ma vivendo proprio con le persone.
Alla mostra abbiamo visto una tavola bronzea con incise iscrizioni in più lingue, un premio che Tucci ha ricevuto per la comprensione internazionale, e si chiama “Nehru Prize”. Nessun altro italiano lo ha mai vinto, oltre a lui, e nel mondo solo personalità come Mandela, Madre Teresa di Calcutta, Martin Luther King hanno potuto ottenerlo. È stato davvero emozionante toccare con mano oggetti che raccontano la sua vita.
Oltre alla mostra, alcuni di noi hanno partecipato a una lezione speciale della professoressa Cristiana Turini, docente Unimc di Lingue e letteratura della Cina e dell’Asia sud-orientale, che ci ha spiegato i segreti della lingua dei Naxi, una minoranza etnica cinese con radici molto antiche che ancora oggi usa i pittogrammi per comunicare. Ci è sembrato di ammirare piccoli capolavori d’arte: segni coloratissimi che raccontano storie e idee, un po’ come i fumetti. Il pittogramma del verbo “litigare” è quello che ci è piaciuto di più: si esprime con disegni simili a sciabole che escono dalle persone.
A Tucci, Macerata ha intitolato una via che sta vicino al Convitto, una strada sopraelevata che si allunga come un braccio verso la periferia della città, un invito a uscire dai nostri confini mentali. Uno dei suoi meriti più grandi? Proprio aver eliminato le barriere e i “confini” culturali tra Europa e Asia, affermando la necessità del concetto di Eurasia. Da questo abbiamo potuto capire che era un progressista, un portatore di idee innovative. Aveva anche studiato a fondo Giacomo Leopardi, a cui è intitolata la nostra scuola, scoprendo forti legami tra i saperi orientali e i temi cari al nostro poeta, come la sete di infinito, il destino e le illusioni.
Dopo questa esperienza, abbiamo capito che Tucci era davvero un uomo straordinario, capace di creare un ponte tra culture ed epoche diverse. La sua vita ci insegna che la conoscenza non ha limiti e che la curiosità può portarci lontano. Abbiamo imparato tanto, ma ci siamo anche divertiti moltissimo, e ora siamo tutti un po’ più “curiosi senza tempo” come lui.