lunedì, Dicembre 23, 2024

Il teatro antidoto ai mali della società,
Facciolli: «Recitare è farsi un vaccino
contro certi vizi dell’essere umano»

L'INTERVISTA al regista e attore che ha portato lo spettacolo nelle scuole come un terreno di socializzazione e per dar vita alla parola scritta. Ecco il suo pensiero e la sua esperienza con i giovani e le giovani del liceo Leopardi di Macerata

 

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Il regista Francesco Facciolli

di Sofia Piergiacomi*

Francesco Facciolli, attore e regista, ha seguito le orme di suo nonno portando la sua passione per il teatro anche al liceo classico e linguistico Giacomo Leopardi di Macerata. Mette spesso in scena spettacoli con studenti e studentesse della scuola, offrendo loro un’opportunità unica per socializzare e avvicinarsi al mondo della recitazione.

A quanti anni e come è nata la sua passione per la recitazione?

«Io ho un nonno che è stato un attore nella Napoli degli anni 50 e 60 quindi la mia passione è nata nel guardare un po’ ciò che faceva lui. Sin dalle elementari nelle varie recite scolastiche ero sempre quello che si proponeva prima e più di tutti, poi nell’adolescenza e negli anni delle scuole superiori, con alcuni compagni di classe e con quella che poi è diventata mia moglie, fondammo un gruppo di cabaret. Ecco poi col passare del tempo da gioco e da semplice passione, il teatro è diventato lavoro ed è diventato fondamentalmente la mia vita».

WhatsApp-Image-2022-06-16-at-19.25.04Quali emozioni si provano a recitare su un palco davanti a diverse persone? Nel corso degli anni ha sempre provato le stesse sensazioni oppure sono cambiate?

«Le emozioni e le sensazioni che si provano su un palco sono molto personali e sono influenzate dal momento della vita che si sta attraversando, dal tipo di spettacolo che si sta portando sulla scena, dal tipo di coinvolgimento. Quello che è importante capire e sapere è che il teatro è qualcosa che non si fa al di fuori di sé ma lo si fa con tutti sé stessi. Quindi utilizzando tutta la propria persona, il fisico, la voce, il corpo, la mente, la psiche, le emozioni risentono inevitabilmente del periodo che si sta attraversando. Quello che sicuramente posso dire è che nel fare teatro si provano emozioni che sono sempre molto profonde perché spesso nel raccontare le storie degli altri scopriamo i punti di contatto con quello che siamo noi, con quella che è la nostra vita o la nostra storia. Il ruolo dell’attore è quello di entrare all’interno di tante storie che sono diverse dalla sua e nel farlo capisce pure come si può sentire una persona quando ha dei problemi o quando sta vivendo in una determinata situazione. Quindi il teatro è un po’ un “antidoto” al razzismo, all’offesa dell’altro, al non comprendere le difficoltà che sta attraversando una persona nella vita. Recitare è proprio come farsi un “vaccino” contro certi vizi del vivere dell’essere umano».

Quando recita in uno spettacolo come riesce ad immedesimarsi in un determinato personaggio mettendo da parte la sua vera personalità?

«Questo è alla base del fare l’attore. Una persona quando recita deve prestare se stessa nella sua totalità, deve prestarsi al personaggio. Quindi c’è una grande differenza tra chi fa un’esibizione, che mostra se stesso per far vedere le sue abilità, e chi fa teatro che invece presta semplicemente il proprio corpo ad un personaggio di un’altra storia. Per riuscire ad immedesimarsi in una storia il primo compito dell’attore è conoscere il testo, le parole che dice. Attraverso questo lungo lavoro di conoscenza dell’altro, che in questo caso non è un personaggio vivo ma è un personaggio inventato che sta sulla carta, l’attore può dar vita a quella che è solo storia scritta. Quindi se c’è una cosa entusiasmante nel fare teatro è che la parola morta, attraverso il lavoro dell’attore, diventa vita sul palcoscenico».

WhatsApp-Image-2022-06-16-at-19.25.04-1Invece riguardo all’essere un regista, è sempre facile coordinare gli attori, alcuni magari inesperti o che non hanno la stessa età?

«Tutto parte dal lavoro che si fa all’inizio cioè quando ci si trova di fronte ad un gruppo di persone che devono mettere in scena uno spettacolo. Il regista ha la responsabilità prima di tutto di comunicare al gruppo con il quale sta per lavorare una visione. Fare regia di uno spettacolo vuol dire avere avuto una visione perché quando il regista legge una storia nella sua testa appaiono delle immagini. Il suo dovere con il gruppo con cui si trova a lavorare è quello di mettere in comune questa visione, che poi si arricchisce di esperienze, opinioni, idee di quelli con cui il regista lavora. Quindi si tratta di un lavoro di creazione sicuramente collettiva nella quale il regista ha il compito di coordinatore e anche di raccoglitore di altre idee, sensazioni, storie, emozioni. Questo perché l’attore non è un burattino del quale si muovono i fili ma è una persona che ha delle emozioni e delle opinioni. Per quanto riguarda l’inesperienza dipende tutto da come si approccia il lavoro. Se il lavoro si approccia attraverso una conoscenza approfondita della storia pian piano anche l’inesperienza si supera perché l’attore riesce a mettere in scena delle situazioni anche vissute e reali».

Lei organizza spesso spettacoli con il liceo classico e linguistico di Macerata. Perché ha scelto di lavorare proprio a contatto con ragazzi e ragazze? Crede che il teatro possa fornire ai giovani insegnamenti importanti?

«Basterebbe leggere l’atto del ministero del 2016 del teatro nella scuola per capire il valore che può avere il teatro in ambito scolastico. La mia personale opinione su questo è che il teatro nella scuola è fondamentale per un motivo molto semplice e molto complesso allo stesso tempo. Lo studente o la studentessa vivono tutte le loro esperienze scolastiche comunque come un lavoro personale, cioè studiano, acquisiscono delle conoscenze con l’aiuto dei professori, poi le riportano, vengono valutati e quindi fanno il loro percorso che però è strettamente personale, legato alle loro capacità e alle loro volontà. Invece quando si lavora in un gruppo teatrale scolastico bisogna mettersi in gioco per un obiettivo comune dove tutti, dal primo all’ultimo, possono e devono collaborare per la riuscita del progetto. Quindi fare teatro a scuola è una possibilità quasi unica di lavorare tutti insieme per un obiettivo unico, è un terreno di socializzazione, di condivisione, di inclusione perché poi ciascuno ha i suoi limiti, i suoi pregi, i suoi difetti, le sue paturnie. Allora invece di stare da soli chiusi nel proprio mondo, il teatro offre la possibilità di mettersi in gioco, capire quando è il momento di tirare la corda o quando è il momento di mollare. Tutto questo in un gioco continuo di equilibri, di tolleranze, di comprensione reciproca. Ancora una volta quindi l’esperienza teatrale è un “antidoto” contro manifestazioni come il bullismo o l’esclusione di alcuni dalla vita sociale della scuola.  Infatti il gruppo teatrale è interclasse quindi mette in contatto ragazzi e ragazze dal primo al quinto anno. I più piccoli si cibano dell’esperienza dei più grandi e i più grandi si cibano dell’entusiasmo dei più piccoli. C’è questa continua osmosi tra le persone che crea un circolo di energia positiva assolutamente interessante».

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Il gruppo di teatro del liceo Giacomo Leopardi

Quale spettacolo che ha organizzato di recente con gli studenti ha riscontrato per lei maggiore successo?

«Non ho uno spettacolo preferito in particolare, nel senso che ognuno di quelli che ho realizzato ha dei momenti indimenticabili, delle sfide che sono state superate, quindi non vorrei dire un titolo piuttosto che un altro. Sicuramente c’è stata nell’esperienza del liceo Leopardi di Macerata una continuità di 5 anni, forse anche di più, nei quali abbiamo attraversato insieme col gruppo di teatro il brutto momento del covid e del lavoro a distanza. Per cui non ho uno spettacolo recente preferito ma sicuramente l’esperienza del liceo Leopardi la porto particolarmente nel cuore perché è stata una cosa che si è costruita nel tempo, che si è arricchita, che si è complicata per via di tutto quello che è successo negli ultimi due anni. Quindi questo percorso è sicuramente una delle cose che ho più a cuore».

*Sofia Piergiacomi, studentessa del liceo classico “Giacomo Leopardi” di Macerata. Intervista realizzata nell’ambito del percorso Pcto (ex Alternanza scuola lavoro)

 

 

 

 

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