lunedì, Dicembre 23, 2024

Clorofilla, scuola rinascimentale
del terzo millennio

SCOPERTA - Continua il viaggio dell'architetta maceratese Eleonora Rampichini negli spazi della struttura a Milano. (2A PUNTATA)

 

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Eleonora Rampichini

di Eleonora Rampichini*

Superato l’ingresso del Nido Scuola Clorofilla di Milano (si chiama così perché è sia un nido che una scuola dell’infanzia), e ancor prima di riuscire a mettere a fuoco l’ambiente davanti a me, la sua trasparente e verdeggiante luminosità che a cascata scende dall’alto mi investe e mi riempie di meraviglia, donandomi l’illusione diafana dell’aria fresca al mattino. Nonostante ciò, la mia memoria scolastica ordinaria e abitudinaria com’è, cerca d’istinto un edificio con le pareti dove si appendono i cartelloni, mentre il mio sguardo attraversa un ottocentesco porticato di 300 mq coperto da chiarissime pareti di cristallo, arredato con sedioline verdi che stanno ai lati di piccoli tavoli di legno bruno per le attività, i pranzi e le merende dei bambini di quattro anni. In lontananza vedo altri tavoli, grandi, bianchi e tondi, che sono invece per i bambini del nido, i quali possono sedere su sgabellini di legno biondo, disegnati su misura per poter essere usati in tante posizioni, alla ricerca di diverse comodità.
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Accostato ad una delle parete di cristallo di fronte ai tavolini c’è un pianoforte laccato di nero con uno spartito di Beethoven sopra, un divanetto a sinistra e a destra una radio d’epoca. La composizione “pianoforte-divano-spartito-radio d’epoca” non è solo un suggestivo allestimento d’arredo. Esso costituisce in realtà un ambiente d’apprendimento la cui qualità – come dovrebbe essere per ogni spazio educativo – sta nell’intensità dei modi d’uso, nella molteplicità delle narrazioni e delle connnesioni che possono stabilirsi tra le cose. Pur non conoscendo le indagini dei su questi elementi, posso immaginare delle connessioni tra i riflessi delle immagini sulle trasparenze delle pareti e il riverbero dei suoni, oppure tra l’ascolto, il tempo dell’ascolto e il silenzio.
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Poco lontano trovo un cavalletto da pittore – qualche bambino ha lasciato in sospeso lo studio dal vero di una piantina di erica – e una serie di altre aree di lavoro per piccoli gruppi che hanno il sapore delle botteghe artigiane dove i bambini possono sperimentare e “pensare con le mani” avvicinandosi al mondo matematico e scientifico semplicemente giocando e divertendosi: c’è il banco per lavorare la creta, una tavolo luminoso per esplorare la relazione tra gli oggetti e la luce, una pedana con selezionati materiali destrutturati di scarto industriale, diventati a pieno diritto materiali scolastici grazie allo sguardo innovatore dell’architetto inglese Simon Nicholson, cui viene affidata negli anni settanta del Novecento la progettazione degli spazi esterni di alcune scuole dell’infanzia, sia in Inghilterra che in Italia.
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La sua formazione tecnica, unita al lavoro nel campo delle arti e del design e all’interesse per la qualità di differenti superfici e materiali, gli fa vedere la povertà degli ambienti scolastici, vuoti di elementi con cui i bambini possono intergire; mancanti di materiali, forme e fenomeni fisici come l’elettricità, il magnetismo e la gravità; poveri di mezzi, quali gas e fluidi, di interazioni chimiche, cotture e fuoco, con cui giocare, sperimentare, scoprire e inventare.
Il suo sguardo diverso su quei paesaggi educativi ridotti e scarni gli fa intuire come il pensiero comune che la creatività sia un dono di pochi sia solo una bugia ed elabora una teoria nota come “Teoria delle parti sciolte”, richiamando nel nome i cosidetti “materiali sciolti” provenienti dai cantieri edili, ovvero i residui delle lavorazioni che possono essere utilizzati per altri scopi.
Opponendosi alla cultura dominante, Simon Nicholson afferma quindi che il grado di inventiva e creatività e la possibilità di scoperta non dipendono da qualità innate delle persone, ma sono, per chiunque, direttamente proporzionali alla varietà delle risorse nell’ambiente. Il nido scuola Clorofilla, in particolare, attinge quelle risorse dagli ambiti più identitari del nostro paese – letteratura, musica, arte, cucina, artigianalità e natura – per offrirle ad uso dell’immaginazione e del pensiero divergente dei bambini.
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Al centro del porticato – che è davvero il luogo identitario della scuola così come una piazza lo è per la città – si trova un patio.
Qui cresce, a cielo aperto, un grande albero di canfora (cinnamomum camphora), che è considerato in oriente l’albero della vita perchè è stata la prima pianta a ricrescere ad Hiroshima dopo il bombardamento atomico della Seconda Guerra Mondiale. I bambini qui sono soliti realizzare dei messaggi materici da appendere ai rami ed inventare danze e canti da regalare all’albero. “Possiamo fare delle gentilezze che fanno felici gli alberi” dice Thèa. “Secondo te l’albero grande è nostro amico? Secondo me sì” dice Enrico.
Durante una pausa, mi soffermo ad abbracciare con lo sguardo tutto quanto e a pensare ai desolati corridoi con gli zoccoli dipinti di grigio che popolano oltre 40mila scuola in Italia, ai mesti saloni delle mense che caratterizzano l’architettura scolastica nazionale da quasi mezzo secolo, ignorando qualsiasi normativa in termini di benessere e clima acustico. Lo spazio, in questa “scuola natale”, è splendidamente contemporaneo, anche se nulla rimanda all’architettura scolastica d’avanguardia del nord Europa caratterizzata da un accentuato design informale che vende bene il prodotto “scuola”.
Al contrario, il grande portico vetrato è uno spazio abitato (non un corridoio di passaggio) che ha ereditato dal concetto di riuso abitativo degli spazi industriali solo l’idea dell’organizzazione aperta degli interni, tipica appunto dei suggestivi loft. In realtà il progetto architettonico è frutto di un lavoro che intreccia un pensiero pedagogico diverso da quello comune nelle nostre scuole (quello italiano del Reggio Children Approach) con la tradizione architettonica del nostro paese e le spinta moderna che caratterizza il progetto contemporaneo. L’esito è uno spazio senza tempo che mi pare esprima un nuovo umanesimo dell’infanzia. Questo paesaggio scolastico diverso infatti, attinge all’immaginario architettonico delle domus romane, dei chiostri dei conventi e delle botteghe del bel paese di Dante e Petrarca, mettendo le basi per un nuovo immaginario scolastico: quello delle scuole rinascimentali del terzo millennio.
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*Eleonora Rampichini
Architetta libera professionista, Ph.D. in Scienze dell’Educazione
impegnata nella valorizzazione della cultura dell’infanzia

Nido Scuola Clorofilla, Milano www.nidoscuolaclorofilla.it
Progetto architettonico: CLS Architetti di Milano con la consulenza di Reggio Children

Visita a Clorofilla, nato dal sogno di una scuola che ancora non c’era

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