lunedì, Dicembre 23, 2024

«Da piccolo smontavo le porte
e ci pedalavo sopra,
la bici è la mia passione»

L'INTERVISTA a Stefano Marchegiani, istruttore di bicicletta sui Monti Sibillini che si divide tra campi scuola, percorsi guidati e molto altro. La sua esperienza, dai primi passi mossi in questo mondo, fino all'attuale situazione post Coronavirus

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L’istruttore Stefano Marchegiani

di Elisabetta Pugliese

Si appassiona al mondo delle bici fin da ragazzo, per un periodo va in Belgio e proprio la bellezza di quelle strade e la cultura di un paese fortemente orientato a questo mezzo di trasporto lo spingono ad iniziare il suo percorso in questo mondo. E’ la storia di Stefano Marchegiani, che insieme a tanti suoi colleghi si divide per i Monti Sibillini per offrire campi scuola, percorsi guidati e molto altro a tutti gli amanti della montagna e delle bike. Al momento, Marchegiani opera principalmente al “Bike Park 1700”, una struttura nella zona di Sassotetto, della Maddalena e di Fonte Lardina. Si tratta di un mondo in cui si affronta la bici a 360 gradi, dove addirittura una seggiovia carica i ciclisti e li accompagna fino ad un’altezza di 1700 metri. Lì, gli interessati si dividono per sentieri più o meno complessi, per poi scendere di nuovo. Ci sono anche i campi scuola, in cui bimbi e bimbe iniziano ad imparare a stare sui pedali, e ovviamente gli adulti che affittano biciclette per delle loro passeggiate. L’esperto del settore racconta la sua esperienza, da quando si è avvicinato a questo mondo all’insegnamento di questo sport ai più piccoli, fino ad arrivare alle novità portate dal Coronavirus. 

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Com’è diventato istruttore di bici? E perché ha deciso di fare questo lavoro?

«Sono appassionato di bici fin da ragazzo, addirittura smontavo le porte e ci facevo i salti sopra con la vecchia Graziella. Ovviamente poi ad ogni atterraggio la saldatura si spezzava in due e bisognava ricrearla di nuovo, ma era divertentissimo. Un’altra mia passione era la montagna. Sono stato in Belgio per un periodo, perché la mia famiglia era lì, è un paese in cui si utilizzano tantissimo questi mezzi di trasporto, e io me ne sono innamorato ancora di più. Così ho iniziato un progetto per l’università di Leuven, uno studio sullo sviluppo del cicloturismo e del turismo sostenibile in genere».

Come è nato il suo amore per i Monti Sibillini?

«Dalla fine degli anni ’80 mi sono avvicinato alla passione per i nostri monti marchigiani, in concomitanza con l’uscita della prima bike da montagna, il Rampichino, e nel 1988 ho organizzato una delle prime pedalate che partiva da Frontignano e arrivava fino a Passo Cattivo. Da quel momento in poi non mi sono più spostato dai Monti Sibillini. Sapevo che ci sarebbe stato un buon futuro per questo settore, perché è un tipo di turismo che permette di vedere luoghi che non si potrebbero mai visitare se non in bici o a piedi. Nel periodo del terremoto poi, è stato un contributo fondamentale per l’economia locale. Nel 2009 lavoravo come preparatore di venditori alla Nissan Italia, e vinsi un premio per il numero di auto vendute. Così, insieme ad un mio amico, decisi di utilizzare quella somma per aprire il “Frontignano Bike Park”, ancora oggi uno dei fiori all’occhiello del centro Italia. Da lì di bike park ne ho progettati diversi e sono anche una guida mountain bike certificata iscritto come libero professionista. Insomma, ho fatto delle mie più grandi passioni il mio lavoro».

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Qual è la situazione attuale a Sassotetto? Cosa fate concretamente con le persone che si affidano a voi?

«Abbiamo individuato tre aree dove poter fare un po’ di scuola, piccole strutture per i bimbi e le bimbe. Inizieremo a tenere corsi dai primi di luglio, sia di tipo individuale che a gruppi. Solitamente ci organizziamo così, quando il livello di apprendimento è aumentato saliamo in seggiovia e andiamo a provare una pista del park. Per me è fondamentale l’educazione alla sicurezza, la prima cosa da fare è insegnare ad affrontare un sentiero nel modo giusto, perché la montagna va rispettata, una strada di ghiaia non è come una pista ciclabile. Se non si procede in questo modo non solo ci si potrebbe far male, ma poi i piccoli potrebbero impaurirsi, non tornare più in bici e di sicuro si divertirebbero. Mi piace sempre insistere sulle escursioni guidate, molti che sono autonomi vanno anche da soli chiaramente, ma in quel modo a mio parere si comprende meglio tutto ciò che c’è da vedere in un luogo. Per metà luglio vogliamo essere pronti con i campi scuola, per poi portare i ragazzi che abbiamo avviato sulle piste in agosto».

Cosa si fa ad un campo scuola di questo genere? «
Nel concreto, insegniamo a fare le curve o qualche struttura, facciamo comprendere che il sentiero di montagna va vissuto in un certo modo, e facciamo anche formazione meccanica o corsi di aggiornamento per le guide. Ovviamente seguiamo anche gli adulti, alcuni preferiscono il corso individuale, altri si dividono in gruppi di quattro o cinque persone con il loro istruttore. Uno degli aspetti più belli di Sassotetto è che ci sono sia i percorsi del bike park, sia moltissimi itinerari guidati, fatti di pedalate e degustazioni tipiche, anche per famiglie».

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C’è un modo giusto in cui un bimbo o una bimba può imparare ad andare in bicicletta? 

«Insegnare ai piccoli non è difficile, ma bisogna fare attenzione. Ci sono diverse scuole di pensiero, alcuni sostengono che siano necessarie le rotelle, altri addirittura fanno imparare i figli con un mezzo che è privo sia di quelle che dei pedali, per riuscire ad acquisire il senso dell’equilibrio. Io non mi sento di escludere nessun metodo, perché tutto dipende dal carattere dei bambini e delle bambine, dal loro modo di essere. Bisogna adattare il giusto metodo per ognuno, altrimenti si rischia di allontanarli. La cosa più importante, però, è farli iniziare in una scuola e in un luogo che sia adatto a quell’attività. Penso, ad esempio, ad un prato: è perfetto, perché se si cade non ci si fa male, ed è privo di ostacoli, non è come una strada di cemento in cui si potrebbero incontrare anche dei muretti. In ultimo, sono fondamentali tutti i vari strumenti di protezione, a cominciare dal casco. Spesso i genitori non lo fanno indossare, ma è importantissimo per evitare urti nelle cadute. Un casco di un buon livello, può salvare la vita. Senza dimenticare, ovviamente, le gomitiere, le ginocchiere e le pettorine. Ogni componente ha la sua rilevanza».

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Che consigli darebbe ai piccoli per farli avvicinare al mondo delle biciclette?

«C’è differenza tra insegnare a bimbi e bimbe ad andare in bicicletta e farli appassionare a questo sport. Quello che posso dire è che se vanno in montagna e vedono concretamente un bike park ben strutturato ed attrezzato, con una scuola, si appassionano subito. Anche perché non bisogna dimenticare che quando i piccoli vedono altri amichetti che si divertono in bicicletta, iniziano ad incuriosirsi in prima persona. Poi ovviamente socializzano tra loro, e tutto diventa più semplice. Ma è importantissimo che vedano regole e serietà, e capiscano che questo sport va preso in un certo modo. Devono essere educati alla montagna, ai sentieri e alla scuola, perché senza di quella non credo sia possibile andare davvero bene in bicicletta, perché lì si imparano cose che normalmente non si apprenderebbero, e soprattutto si comprende come riuscire a superare degli ostacoli senza farsi male».

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Le è mai capitato di insegnare qualche acrobazia particolare?

«Personalmente no, non mi è mai successo, perché per far questo ci vogliono istruttori particolari. Il settore del downhill o del trial, in cui la bici si usa anche per fare acrobazie, è tutto un altro mondo, bisogna fare una scuola diversa. Però mi capita di affiancarmi a degli istruttori del genere, e loro insegnano tante cose, come fare salti, i blackflip e molto altro. Ovviamente non si sperimenta mai direttamente in strada, c’è anche lì un percorso di educazione e formazione, sia nei metodi, che nei mezzi, che nel modo di cadere. Questo è importante: se prima non si impara a cadere, non si può provare le acrobazie concretamente. So che si utilizzano anche dei cuscini di gommapiuma per le cadute, finché non si apprende nel modo giusto non si fa mai nulla del genere direttamente».

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Dopo l’emergenza Coronavirus, il suo lavoro ha subito dei grandi cambiamenti? Le persone vanno ancora in montagna?

«Assolutamente sì, c’è stato un vero e proprio pienone rispetto allo scorso anno, abbiamo addirittura superato i numeri del post-sisma, quindi il lavoro è aumentato tantissimo. In tutta questa vicenda, tra le altre cose, credo che le persone abbiamo compreso che per andare in vacanza non è necessario per forza andare lontano, ma che si può stare benissimo nel nostro territorio, che è ricco di luoghi meravigliosi da visitare. A livello tecnico, noi non abbiamo problemi a rispettare le distanze di sicurezza, perché durante i giri in bici siamo a 6-7 metri gli uni dagli altri. Ovviamente però abbiamo ridotto la grandezza dei gruppi, ora di 5 o 6 persone, dividendoci tra più guide. Personalmente ho puntato molto sulla sicurezza, voglio avere accanto a me persone che sappiano soccorrere e abbiano la consapevolezza di come muoversi al meglio se qualcuno si fa male, per questo mi sono circondato di molti colleghi. Per me è importante che capiscano anche un po’ di meccanica, perché se magari ci sono dei guasti sapendo almeno le basi possono intervenire, evitando di mandare all’aria un’escursione. Per il resto beh, ovviamente disinfettiamo ogni cosa con alcol denaturato al 75-80%, che si spruzza e si vaporizza subito, evitando di dare fastidio. Principalmente si interviene sulle manopole e sui caschi, specialmente quelli integrali che sono a contatto con la bocca. E prima di partire, spendiamo del tempo per far comprendere cosa andremo a fare di lì a poco, illustrando il nostro programma passo dopo passo».

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