lunedì, Dicembre 23, 2024

Orto scolastico, la rivoluzione gentile:
“Impariamo sporcandoci le mani”

INTERVISTA - Emilio Bertoncini è agronomo ed esperto della didattica a contatto con la terra, di cui si occupa da dieci anni anche in progetti che coinvolgono le Marche: "Un potentissimo strumento per insegnare cosa è un bene condiviso". Quest'anno ha anche dato una mano all'agrinido di San Ginesio dopo il terremoto: "Con i bambini abbiamo parlato della durezza della vita e della bellezza di aiutare senza aspettarsi nulla in cambio"

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Emilio Bertoncini

 

di Francesca Urbani

Quest’anno sono stati diversi gli articoli sulle scuole che hanno fatto l’orto coinvolgendo insegnanti, nonni e bambini. Parlarne con un esperto ci serve a fare il punto e a capire il lavoro che c’è dietro a questa attività. Così abbiamo deciso di intervistare Emilio Bertoncini. Un agronomo (non più iscritto all’albo) e guida ambientale, esperto di orticoltura didattica e urbana che si è occupato di diversi progetti anche nelle Marche. 

Cos’è è un orto scolastico per lei? 

L’orto scolastico per me è uno spazio di apprendimento, al pari di un’aula o di un laboratorio della scuola. Ci tengo, però a sottolineare che non è solamente o necessariamente uno spazio in cui si apprende a coltivare, come spesso si pensa. Cosa si impara e cosa si insegna o, meglio, cosa apprende la comunità scolastica, dipende dalle finalità didattiche del progetto in cui si inserisce l’esperienza dell’orto. Passando dal nido alla scuola superiore, è possibile lavorare sull’apprendimento di cose diverse. Al nido si potrà familiarizzare con gli ortaggi e lavorare sulla motricità corporea. Alla scuola dell’infanzia si lavorerà, per esempio, sulla relazione tra il sé e l’altro oppure sulla sensorialità. Nella scuola primaria sarà progressivamente più naturale legare l’orto alle aree disciplinari di insegnamento, dalle scienze alla storia, magari passando per le lingue. E così via.
Nell’orto i bambini apprendono facendo. Si sporcano le mani, incontrano i lombrichi, scoprono la terra, il caldo e il freddo, imparano a conoscere le piante, scavano, piantano, seminano, zappano, rastrellano. Fanno quello di cui c’è bisogno relazionandosi con degli adulti più o meno “sapienti”. Uno degli elementi più interessanti è la condivisione di inesperienze. Si realizza quando le insegnanti che si avventurano nell’orto non sono esperte dal punto di vista tecnico. In questo modo il percorso di apprendimento è condiviso tra alunni e docenti. Possono servire esperti esterni, ma è bene utilizzarli con attenzione: nell’orto non c’è bisogno di “professori”, ma di facilitatori di esperienze.

Come reagiscono i bambini a queste attività?

I bambini hanno una reazione meravigliosa allo stare fuori nell’orto. L’entusiasmo è generalizzato e il lavoro nell’orto li porta pian piano a modificare il loro atteggiamento verso il fuori. Il giardino della scuola diventa man mano un luogo interessante, da rispettare, e abbandona la funzione di “sfogatoio” in cui tutto sembra essere permesso. Pian piano li scopri a “studiare” in autonomia nei momenti di ricreazione. Poi cambia il rapporto col cibo. Diventa più spontaneo, i bambini mangiano le verdure “perché sono quelle del nostro orto”. Il cibo viene rispettato. Diventa più spontaneo anche il rapporto con la natura: il freddo diventa motivo per divertirsi andando alla scoperta del ghiaccio, la pioggia un evento tollerabile che aiuta le piante, il sole un buon motivo per uscire fuori, gli insetti non spaventano più, ma attraggono. E’ una piccola rivoluzione che si fa insieme, socializzando, condividendo un percorso. Ognuno mette di sé quanto vuole e quel che vuole, così l’esperienza collettiva diventa anche personale, più rispettosa del bambino.

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Bambini nell’orto

Potrebbe raccontare l’episodio che l’ha colpita o emozionata di più?

Questo è il mio decimo anno educativo nel mondo degli orti e di episodi da raccontare ce ne sono tantissimi. Un mio vero cavallo di battaglia nella narrazione degli orti è diventato l’episodio legato a Sara, una bambina di una scuola dell’infanzia. Un giorno si è presentata da una maestra tenendo in mano un peperone e ha raccontato di averlo preso “al volo” mentre cadeva dalla pianta. I peperoni non si staccano molto facilmente e lei deve averlo manipolato a lungo ed energicamente per staccarlo, ma quando è successo qualcosa le ha impedito di nascondere il guaio che aveva combinato. Ha cercato di nascondere un po’ della propria responsabilità, ma si è rivolta alla persona che avrebbe potuto rimediare, almeno secondo la sua idea. Quella persona era anche la “autorità” che avrebbe potuto punirla, ma lei non se l’è sentita di nascondere la malefatta. Il perché intimo di questa dinamica non lo conosco, ma secondo alcuni esperti un comportamento del genere è spiegabile solo grazie al fatto che Sara ha capito di aver danneggiato una cosa di tutti e preziosa per tutti. Per questo ha cercato di rimediare, perché ha danneggiato un bene comune. E l’orto che rinasce mille volte è un potentissimo strumento per insegnare cosa è un bene condiviso.


A un certo punto ha iniziato a fare attività di formazione con L’Assam Marche, conducendo i corsi di “ortoincontro” e “fattoriaincontra”. Come è arrivato dall’orto alle attività di formazione con l’Assam della nostra regione?

L’incontro con l’Assam si inserisce in un percorso davvero particolare. Nel 2013 ho partecipato all’Agricoltura Civica Award di AiCARE (http://www.aicare.it) e ho vinto una menzione speciale. Una parte del premio è stata la possibilità di presentare il mio progetto degli orti scolastici in un convegno durante manifestazione Agri&Tour di Arezzo. Al convegno partecipava anche la Cristina Martellini di Assam e Regione e abbiamo stabilito un primo contatto. Da lei ho scoperto che le Marche stavano lavorando da molti anni sul tema degli orti scolastici ed è nata l’idea di fare un corso sul tema. Successivamente è nato il progetto Ortoincontro che ha anche finanziato la nascita di orti urbani e quella di un orto in carcere. L’occasione è stata propizia per scoprire una mia certa propensione per la comunicazione e mi è stato chiesto di collaborare anche ai corsi di formazione per gli operatori di fattoria didattica.

Come nasce la pubblicazione “Evviva l’orto che mi fa sporcare! La biodiversità agraria delle Marche entra a scuola”?

Nel consolidarsi di un bel rapporto lavorativo e umano, in Assam è nata l’idea di realizzare una pubblicazione sul tema degli orti, cioè “Evviva l’orto che ci fa sporcare! La biodiversità agraria delle Marche entra a scuola”. In pratica, insieme al gruppo di lavoro degli orti scolastici di Assam e Regione, di cui fanno parte Ambra Micheletti, Mauda Moroni, Claudia Margaritelli, Stefano Battisti e Leornardo Valenti, abbiamo condensato l’esperienza marchigiana nata nel lontano anno scolastico 1995/96 e la mia in una sorta di modello di riferimento. La pubblicazione delinea il “format marchigiano” per le esperienze di orticoltura scolastica e ne scaturisce un invito a caratterizzarle in termini di approccio e metodo, più che di modalità tecniche di conduzione degli orti e delle attività didattico-educative. In sostanza, si pone l’attenzione a come i progetti che utilizzano l’orto come strumento possano rispondere alle finalità della scuola, più che all’atto di coltivare. Tra gli obiettivi principali c’è, come dice il sottotitolo, far conoscere la biodiversità agraria regionale. Il titolo, invece, evoca la funzione educativa dell’orto: quello sporcarsi è un cercare il contatto con la realtà, è un apprendere facendo, un invito ad un rapporto concreto e autentico con la terra e con i saperi che può veicolare. Contribuire alla stesura della pubblicazione per me è stata un’occasione straordinaria di confronto col gruppo di lavoro regionale, di scoperta di molte sfaccettature di un’esperienza più che ventennale e di alcune esperienze portate avanti nelle scuole che sono all’avanguardia in Italia e, forse, anche oltre. Alcune di queste sono raccontate nella pubblicazione.

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L’auto carica di donazioni

Seguendo la sua pagina Facebook ho scoperto che questo inverno ha messo in piedi una catena di solidarietà che dalla Toscana, dove abita, finiva nella nostra provincia di Macerata esattamente a Vallato di San Ginesio alla “Quercia della memoria” da Federica Di Luca e Franco Ferroni. A novembre di un anno fa scriveva dopo aver postato una foto dei danni subiti a san Ginesio: “Facciamo in modo che dalle crepe delle case possa passare la luce della speranza e non il freddo dell’inverno”. Cos’è la solidarietà per lei? Come è nata questa raccolta?

La solidarietà ha la faccia della mia nonna materna. E’ la natura “giusta” dell’aiuto che si dà agli altri, del fare quel che si può. Dopo il terremoto di un anno fa avevo la necessità di viaggiare verso le Marche per lavoro e la mia auto era terribilmente vuota, mentre qualche amico, come Federica Di Luca, attraversava un brutto momento. Ho chiesto ad altri amici, principalmente tramite Facebook, se avevano voglia di darmi una mano a raccogliere cose da portare a destinazione. La cosa mi è un po’ sfuggita di mano e ben presto non bastava più la mia auto. Allora ho cercato mezzi e persone. Sono arrivati anche quelli, insieme alla collaborazione con alcune associazioni e gruppi di persone marchigiane che stavano facendo la raccolta di beni da portare nelle zone colpite dal terremoto. E’ stata un’esperienza dolce – amara. Dolce perché la risposta delle persone è stata straordinaria. Ho ricevuto quintali di cibo, abiti, alimenti per animali, un po’ di tutto da perfetti sconosciuti che arrivavano a me tramite relazioni di fiducia. Si sono fidati di me perché altri si fidavano di me. E’ stato incredibile. La parte amara è stata quella che io considero una sconfitta dello Stato, dell’istituzione Stato. Le persone mi dicevano “diamo le cose a te perché siamo sicuri che arrivino a chi ne ha bisogno”. Così è stato, ma così “non c’è Stato”. Tra i momenti più toccanti c’è stato l’abbraccio di una ragazza che si trovava al magazzino del comune di San Ginesio. Non riusciva a capacitarsi del fatto che un cittadino qualsiasi della Toscana fosse arrivato fin lì con del cibo. Un altro momento emozionante è stato quando sono andato a parlare della mia esperienza in una scuola di Pistoia che ha raccolto una quantità incredibile di aiuti. Con i bambini abbiamo parlato della durezza della vita di chi stava vivendo terremoto e inverno eccezionale e della bellezza di aiutare senza un perché, senza un profitto, senza un ritorno immediato, se non lo star bene con se stessi. Purtroppo ad un certo punto ho dovuto interrompere le mie “missioni” nelle zone colpite dal terremoto per una vicenda familiare che mi teneva in apprensione e che, fortunatamente, a distanza di tempo si è rivelata meno grave di quello che sembrava.
Soprattutto grazie a Facebook, sono ancora in contatto con Federica e Franco. Se riesco, in ottobre tornerò a trovarli, anche per capire cos’altro si può fare.

Ha progetti per il futuro prossimo?

I progetti per il futuro? Ci sono varie idee, ma per il momento rimangono un segreto. Non nascondo, però, che l’amore che è cresciuto in questi anni per le Marche mi porta a fantasticare sul trasferirmi nella vostra terra. Chissà…

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2 COMMENTS

  1. Bellissimo e so con certezza che è tutto vero. E non bisogna dimenticare che l’orto è un’occasione incommensurabile per imparare la responsabilità. Un bambino che si prende cura della sua piantina apprende con gioia la grandezza di essere responsabile della vita di un altro essere vivente.

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